9° Incontro di ArtEvangelo - Patrizia Bonardi - Felix Policastro
Schedule
Tue Oct 28 2025 at 07:15 pm to 09:00 pm
UTC+01:00Location
Dino Morra Gallery, Via Alabardieri, 1, 80121 Napoli NA, Italia | Napoli, CM
Il progetto degli Incontri è abbinato alla omonima rivista trimestrale di quattro pagine, nata all’inizio del 2017, intendendo coinvolgere di volta in volta artisti già comparsi sulle pagine della rivista – oppure non ancora comparsi -, ma anche storici dell’arte e studiosi di varia formazione, chiamati ad un libero confronto intorno alla questione del rapporto tra arte – specie visiva, ma non solo; specie contemporanea ma non solo – e cristianesimo.
I cieli narrano la gloria di Dio e l’opera delle sue mani annuncia il firmamento» (Salmi 18, 2); «Tutte le opere lodano il Signore» (Salmi 145, 10); «I fiumi battono le mani, le montagne gridano di gioia» (Salmi 98, 8); «Gioiscono i cieli, esulta la terra… gli alberi del bosco danzano di gioia» (Salmi 96, 11-12). Sono questi solo alcuni dei passi, concentrati specie nel libro dei Salmi, che testimoniano della visione ebraico-cristiana del rapporto Dio-natura. Certo, in tale visione solo l’uomo è fatto a “immagine e somiglianza” di Dio (Genesi 1, 26-27), eppure «tutto è stato fatto per mezzo di Lui, e senza di Lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste» (Giovanni 1, 3) e pertanto in tutta la natura si rispecchia Dio stesso, pur permanendo una distinzione tra Creatore e creato. Certo, in tale visione la natura non è perfetta e l’uomo è sottoposto al dolore e alla morte, ma non si tratta che dell’altra faccia della libertà concessa a quest’ultimo di allontanarsi dal progetto di Dio, come ben si comprende nella vicenda del peccato dei progenitori, mentre la venuta di Cristo pare indicare la prospettiva di un riscatto, e non solo per l’uomo, se ben si comprendono le parole dell’apostolo Paolo: «La creazione stessa attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio; essa infatti è stata sottomessa alla caducità - non per suo volere, ma per volere di Colui che l'ha sottomessa - e nutre la speranza di essere lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio» (Romani 8, 19-21). La ricerca di Patrizia Bonardi è radicalmente calata nella coscienza dell’unità, nel segno dell’organico, che esiste tra l’uomo e il resto della natura. Le sue forme sono felicemente irregolari, non euclidee, riottose di fronte alla polarità del geometrico, al perseguimento di un paradigma da Iperuranio platonico. La spiritualità di cui la sua poetica diviene traccia assume così i tratti dell’instabile, del non ancora, del ciò che sta per venire. Essa apre ad una dimensione transeunte e non compiuta che è appunto assai prossima alla condizione del cristiano immerso nel mondo, sospeso tra un ossimorico presente, che, malgrado il male inestirpabile, non impedisce di godere della bellezza di ora, e la fede nella risoluzione delle contraddizioni futura, quando la bellezza sarà pienezza.
Che cos’è una croce? Forse un morbido divano sul quale spaparanzarsi? «Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua» (Matteo 16, 24). Con tali parole, notoriamente, Gesù apostrofa i suoi discepoli. Nel mare magnum delle immagini e delle parole i significanti erodono i significati, divengono semplici segni senza contenuto, come avverte precocemente Jean Baudrillard. Da qui, probabilmente, la necessità, per Felix Policastro, di risalire al, ma anche reinventare il, segno-segnale archetipico. Non basta pertanto oggi parlare di croce per evocare il dolore, ma, come è necessario affiancargli l’aggettivo scomodo, così è necessario destrutturarla sul piano visivo. Il rapporto tra i bracci perde garbo e simmetria oppure, talvolta, non è distinguibile a causa dello straniante sovrapporsi più croci e del loro parziale scomparire sotto effetto di una incongrua nebbia. Alla croce si affianca, tanto concettualmente quanto concretamente in varie opere, un’altra icona caratterizzante la poetica di Policastro, ovvero l’omino stilizzato che, tanto più nel suo alto tasso di astrazione, diviene figura non di un certo tipo di uomini, e tanto meno di un singolo. Egli corrisponde piuttosto alla possibilità che è in ciascuno di vivere nella pienezza delle sue potenzialità, che non significa lambire un immobilizzante traguardo. Vice versa l’omino è costantemente in azione e mai a destinazione, che scali una altrettanto stilizzato pendio, che si faccia prolungamento delle dita o ancora che si assimili ad un albero per rimarcare la necessità di ricucire la violenta frattura tra l’uomo moderno e il resto della natura. Anche in un’ottica cristiana, del resto, benché solo l’uomo – e nessuna altra specie – sia stato «fatto poco meno degli angeli» (Salmo 8, 6), l’apostolo Paolo ricorda che «tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto» (Romani 8, 22).
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