I Resti del Mondo ( fase I - open)

Schedule

Sat Oct 19 2024 at 06:00 pm to 10:00 pm

UTC+02:00

Location

Officinenove Studio via del Casale Galvani 9 | Rome, LA

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I resti del mondo
Progetto installativo
di Sergio Angeli
a cura di Jamila Campagna e Monica Pirone
dal 19 ottobre al 17 novembre 2024
vernissage 19 ottobre ore 18
Sound design di Grumvalski
Video editing di Paolo Pettinato
Officinenove Studio
via del Casale Galvani 9, Roma
info mostra: [email protected]
[email protected]
dal lunedi al sabato su appuntamento escluso il martedi
+39 3888941167

Sergio Angeli nei suoi itinerari quotidiani raccoglie, mette insieme e assembla forme con tutto ciò che trova in strada e nelle discariche abusive.
Utilizzando i “resti” come stencil crea e organizza nuovi mondi postumi dove i personaggi sembrano creature e organismi di un probabile futuro scaturiti da ciò che rimane di una civiltà che sta indirizzandosi verso un collasso.
La “mostra installazione” prevede il coinvolgimento del pubblico invitandolo a raccogliere e consegnare, durante il vernissage, all'artista oggetti che recuperano in strada con i quali realizzerà un opera nuova che sarà presentata al finissage.
Inoltre il 9 novembre sarà presentato al pubblico il video/documento diretto da Paolo Pettinato il quale filma tappa dopo tappa le discariche abusive esplorate dall'artista il quale raccoglie “i resti del mondo” e con essi realizza un “opera/bandiera” che di volta in volta installa e lascia sul posto.
La proiezione del video sarà accompagnata da una performance live del musicista romano Grumvalski.
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I RESTI DEL MONDO
Testo critico
di Monica Pirone

“ I could live a little better with the myths and the lies
I could live a little in a wider line
To lose control”
“Potrei vivere un po’ meglio con i miti e le bugie
Ho potuto vivere un po’ in una linea più ampia
Per perdere il controllo”

(She’s Lostt Control_Joy Division)

Nelle opere di Sergio Angeli da sempre c’è la ricerca di un “altrove altro”, andando indietro ed indietro ancora, nel suo esplicito figurativo le immagini rappresentate subiscono una trasformazione in cui ogni elemento anche quando riconoscibile, ci riporta a qualcosa d’altro.
In questa mostra Angeli esplicita questo estraniamento che pur racchiudendo le forme, conferma un volere rimanere straniero all’effettivo senso delle cose. Una emergenza continua ed un rimando a ciò che di più nascosto alberga nella nostra mente ed ancora di più nelle nostre viscere.
Seppure in certi casi vediamo i contorni, il perimetro superficiale dei corpi e delle forme che li circondano, la loro soglia, il bordo della linea ci rapisce sempre in luoghi altri, estranei, stranieri a ciò che di riconoscibile ci tranquillizza. La sedazione data da una comfort zone che troppo spesso si realizza nella pittura in Angeli genera un effetto boomerang, in un eccesso di quiete ci si ritrova spesso smarriti in panorami che solo nella superficie sembrano immobili.La ricerca di una forma archeologica industriale ci accompagna sul baratro in un abisso più profondo, la definizione dell’elemento esterno diviene la zavorra per non perdersi altrove, lontani da tutto, in un mondo isolato fatto di povere cose, scarnificate, depotenziate, scaricate dall’utilizzo e dall’usura del tempo, testimoni di una vita oramai già finita, passata, al di là del tangibile, riconoscibile e questo “estraniamento spaventoso” non trova pace, neppure quando una miriade di colori inonda la superficie. Una ricerca in effetti di ciò che non esiste, una smania di ritrovamenti e reperti che possano riempire proprio quei perimetri che non sono già tra noi da molto tempo, sindoni impresse che testimoniano ciò che eravamo, ciò che abbiamo perduto.
Se è vero che la necessità di cercare un senso è insita in ogni artista, in Angeli c’è la volontà di cercare assenze, cose che in fondo sappiamo non essere più qui fra noi dalla notte dei tempi. Ci resta una malinconica presa di coscienza di ciò che è e non sarà mai più.
“Questo povero corpo cerca un’anima anche se sa di non poterla trovare, il cercare dà il senso di una vita che forse solo per questo vale la pena di vivere”.
Gli elementi che costituiscono l’anima non sono umani e forse nella ricerca la delusione più grande è la consapevolezza che non c’è nulla da salvare. Una speranza di ricercare altro che in realtà è illusoria, è debole, non è gesto di forza e vitalità, ma limita la figura ad una rassegnata constatazione del nulla, per cui forse non vale la pena neppure di ricercare.
Le figure fluttuano in un liquido amniotico, dove ogni suono è assente, in un non luogo in cui il rumore del mondo non può entrare, ma neanche affacciarsi in un lago di quiete apparente.Se l’oggetto è oggetto di ricerca, in Angeli questo cercare diviene un modo di depistare, portare altrove l’attenzione per non essere scoperti ad avere compreso ciò che vogliamo possa essere finzione, una verità che vogliamo dimenticare che noi cerchiamo costantemente di spostare, allontanare come ultimo pensiero e che ogni giorno desideriamo rimuovere.
Un cimitero a cielo aperto abbandonato da noi, allontanato, già consumato, diviene ossatura, struttura, meccanismo che attiva il respiro, una morte che pretende di dare la vita, di essere l’essenza stessa ed il senso più profondo della nostra esistenza. Se è vero questo, non c’è una reale emergenza, perchè ogni cosa è come previsto è semmai per Angeli, una scoperta di ciò che è e non si può evitare. Nell’inevitabile si affaccia lo spiraglio di una rinascita che può forse accadere solo resettando ciò che ci ha preceduto, ovvero, solo dopo la fine possiamo sperare in un nuovo inizio.
I reperti ritrovati non sono che la conferma di tutto questo, l’oggi è già domani e nell’alternarsi delle ore, dei giorni e del tempo, non possiamo trovare un senso. Ciò che era è già alla fine e il corpo stesso, diviene forma impressa, che è immediatamente memoria. Un presente inesistente che cerca pace e che solo nel gesto artistico la può trovare, in questa smania Sergio Angeli stende sulla tela e rimanda speranza, ma trema perchè conosce il destino . Una archeologia mai superata, che si consuma e che è destinata a non essere mai ora, qui, subito!
Se la tela diviene la sindone e l’oggetto imprime le sue forme sulla carne stessa, buca la tela oltre e va dritto all’anima, la dilania, la consuma, la rende già storia prima ancora che ci lasci, ci abbandona a noi stessi, non c’è allora nessuna consolazione? Se l’opera è una sindone il colore diviene il fenomeno che ha impresso la figura umana, che nellaconsecutio è avvenuto dopo che il sangue si era trasferito sul tessuto e ne aveva attraversato lo spessore.
Il sangue diviene testimonianza, la nostra sofferenza ci rende umani, ci da il senso e la percezione che siamo ancora vivi, post umani, redivivi, ma vivi.
In questo luogo di desolazione e nella linea sottile di questo arrendevole silenzio ci sentiamo confusi e perdiamo la traccia, ma forse lontani da questa vita e nell’assenza di suoni, in sospensione possiamo trovare una strada.
E’ quindi forse nella fine che possiamo trovare la speranza di un nuovo inizio?
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Quel che resta del domani
di Jamila Campagna
《 [...] In breve, se la portata e persino la realtà degli orrori dell’anno 1000 sono ancora oggetto di controversie tra gli storici, il terrore dell’anno 2000 è tanto evidente quanto fondato; infatti, ora si basa sulla certezza scientifica. Al tempo stesso, ciò che sta accadendo non è del tutto nuovo: piuttosto, è semplicemente l’ineluttabile esito di un processo di lunga data.
[...] Tanto per l’ambiente naturale e antropizzato, quanto per i tassi di natalità, la biologia, la produzione, la "follia" e così via, la scelta non sarà tra la festa e l’infelicità, ma, piuttosto, consapevolmente e ogni volta, tra una miriade di possibilità da un lato, felici o disastrose, ma relativamente reversibili, e niente dall’altro lato. 》
[Guy Debord, Un Pianeta Malato, 1971]
Andare a cercare lungo i limiti, scivolare negli spazi liminali, raccogliere i segnali residui nell’infrasottile della società contemporanea, post-industriale, un posto nel tempo e nello spazio dove non c’è più differenza tra chi consuma e cosa/chi è consumato.
Questo fa Sergio Angeli nella sua ricerca artistica che lambisce le forme distopiche di un’umanità sempre più in crisi: dalla distorsione di figure arboree e antropomorfe, tratte da una dimensione aliena ma vicinissima, che ha caratterizzato la produzione di Angeli negli ultimi anni, ne I Resti del Mondo la figurazione si fa sempre più rarefatta nell’astrazione, difficilmente riconducibile all’umano e al suo mondo, eppure ancora pulsante, resto di un’attività emotiva ed esistenziale.
Sulla superficie pittorica, dei resti del mondo rimane una eco visiva che sfugge al colpo d’occhio complessivo, nel piccolo e nel grande formato, e spinge a cercare letture parziali che si sorreggono e sospingono l’un l’altra nel restituire un significato solo a tratti univoco. Nei momenti di dualità, le forme di Sergio Angeli rimbalzano dall’organico al tecnologico, rimandando sempre a un soggetto ibrido che è la quintessenza di quel Futuro-Presente, osservato dall’artista attraverso un tubo piantato nel Passato-Presente.
Il trittico, che emerge da un’installazione di resti elettronici e industriali, è alto due metri e mezzo e lungo circa quattro metri e questo gigantismo lo configura come un portale che satura e al contempo offre un’uscita di sicurezza, un muro sfondato che apre lo spazio di Officinenove: lì si va a condensare la ricerca pratica condotta da Sergio Angeli nelle discariche abusive di Roma, trovando gli scampoli di mondo più adatti a trasformarsi in messaggio visivo, incursioni durante le quali l’artista è stato accompagnato dalla riprese del videomaker Paolo Pettinato, il cui documentario video sarà proiettato durante la mostra. A restituire attraverso il sound design questo scarto tra il nichilismo dei rifiuti gettati e la propensione umana verso la sopravvivenza, Sergio Angeli ha scelto le musiche di Grumvalski che si esibirà il 9 novembre nel live set industrial-noise intitolato "No Name No Where".
Difronte alle domande irrispondibili "Chi siamo? Dove andiamo? Da dove veniamo?, la serie I Resti del Mondo aggiunge un’altra domanda: cosa siamo diventati? Passando dal "chi" identitario al "cosa" oggettificato nella materia e nella funzione, la coscienza - delle persone, dei ricordi, degli oggetti stessi - se ne va in un angolo: nello spazio di ricavo sotto un cavalcavia, tra l’erba che si sfila sotto un guardrail, là dove le discariche abusive si formano per addensamento e proliferano come fiori al contrario.
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Where is it happening?

Officinenove Studio via del Casale Galvani 9, Officine Nove, Vicolo del Casale Galvani, 00157 Roma RM, Italia,Rome, Italy

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Officinenove Studio

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